Questa sera ho fatto il gesto di mettere la chiave nel portone, ma non è entrata. Sono stata colta, per qualche secondo isolato da tutto, dal dubbio di aver sbagliato chiave. La mia testa vaga altrove, sono spesso disattenta, faccio disastri: niente di anomalo. Certo che però, la chiave del portone è questa… Le ho controllate tutte, una per una le chiavi del mazzo di casa. Sì, era giusta. Ma non entrava. Ho citofonato per farmi aprire, poi ho osservato il nottolino: era ostruito. Una chiave rotta dentro? I meccanismi della serratura? Non lo sapevo. Però intanto pensavo che il portone lo toccano tutti e quindi era pericoloso, e che non ero impazzita io, a sbagliare chiave.
In quella sono arrivati i vicini, con le mascherine, mi hanno guardata, a me è sembrato in modo accusatorio. «E adesso chi deve entrare come fa? Citofona?» (e se non ha nessuno a cui citofonare?). La vicina ha fatto spallucce. Nessuno ha pensato di contattare il caposcala, io ero già un filo agitata. Questione chiusa così, ognuno a casa sua, con l’aggiunta che dopo giorni e giorni, ho visto e parlato con dei vicini: quanta socialità tutta insieme, quasi non ricordavo come fosse.
Oggi è lunedì, ancora e di nuovo, ed è il giorno numero 22: forse una chiave di volta in questa quarantena – chiave, si sarà inteso, è la parola che ho deciso di porre al centro oggi -, un inizio, una propulsione, una prua da fissare. Forse. Io, se non altro, ci provo. Mi rimetto a studiare, con calma, senza computer, una mattinata intera: non succedeva da anni. Muoio di curiosità, i libri mi circondano e mi rendo conto che sono indietro su tutto: che questo tempo sia davvero necessario, per me, per rimettermi in pare e recuperare almeno una parte dell’arretrato cosmico?
Devo trovare una chiave di accesso a questo mondo perduto, e non è intuitivo. Inizio cose, ne inizio altre, il rischio altissimo è di non finirle. Ma l’umore è alto, almeno fino alla metà del pomeriggio, quando il muro di burocrazia torna a fare capolino e a demolire la leggerezza. Obblighi assurdi, moduli mai chiari, richieste precise e risposte nebulose. La rabbia. Come sale. Frustrazione, cinismo, delusione, ma più che altro stanchezza, infinita stanchezza. Vorrei davvero che questo atteggiamento del mondo cambiasse, vorrei non perdermi tra le pagine di un faldone dietro al quale non so stare per indole, e che ogni volta perde documenti, neanche lo avessi fatto apposta, quando ci ho messo tutte le forze per mantenerlo in ordine.
«C’è da guadagnare un modo di vivere nuovo» sento dire a Paolo Mieli in un’intervista con Cesare Cremonini. Sì, capito bene: Cremonini e Mieli, insieme, Non so perché, me l’ha passata un amico. Mentre ascoltavo saricavo materiali per progetti futuri, chissà. Le idee volteggiavano, quella prua avanti sembrava sicura. Ma è tutto così acerbo e fragile, per ora.
Pedalo. Su e giù sulla cyclette per trenta minuti ascoltando musica tamarra: ho cercato una playlist con la parola chiave “workout”. Tunz tunz, “motivation music” diceva la didascalia, intanto sfogo, sciolgo tutto, fisso il muro e ci vedo storie dietro, ci vedo positività, ci vedo cervello. Le idee tornano, anche se si spegneranno presto. Forse è un po’ come il lievito, prima di stabilizzarsi bisogna coccolarlo e dargli da mangiare, almeno un po’.
La sera guardo un film che mi destabilizza e sconvolge un filo: E fu sera e fu mattina, di Emanuele Caruso, in streaming gratis fino al 3 aprile, per la quarantena. Un paesino delle Langhe fronteggia una notizia allucinante: la fine dell’idrogeno nel sole, la fine del sole, e della vita. Come preparasi? Come viverlo? C’è chi cerca Dio, chi non ci crede, chi non approfitta del momento tragico per farsi spazio dentro e continua a vivere male, di cattiveria, chi piange, chi non sa che pesci prendere. Insomma, un po’ come ora, con un’idea molto più sconvolgente, quella della fine del mondo. Spinge a chiedere: cosa abbiamo fatto finora? Cosa stiamo facendo? Dove stiamo andando? Su che rotta?
Ah, comunque poi dopo cena ha suonato alla porta il vicino: era senza mascherina, ha detto “l’ho tolta, era una chiave rotta dentro”, e ha mostrato un ferro da uncinetto con cui ha liberato l’accesso al portone del condominio. Insieme, ogni tanto, si può davvero.
Questa mattina dopo un sacco sono capitata su Radio 2 social club, c’era Daniele Silvestri in diretta al telefono, ha suonato Le Navi, non la ricordavo, mi ha profondamente emozionata:
Che salpino le navi
Si levino le ancore e si gonfino le vele
Verrano giorni limpidi e dobbiamo approfittare
Di questi venti gelidi del greco e del maestrale
Leggi tutte le giornate del mio diario di quarantena: 25 giorni a casa.