Domenica, la terza da quando ha preso avvio questo tempo nuovo e inedito. Il giorno 21 della quarantena, il giro di boa delle tre settimane. Sono giorni in cui adagio adagio è andato rivoluzionandosi tutto, senza che tuttavia, dentro le mura di casa, si sconvolgesse nulla in modo evidente. Nessuno schianto, nessuna esplosione. Piuttosto, un’implosione. Io che butto qui ogni giorno quello che penso, il tg che ormai mi passa addosso, le cose superficiali passate, oppure in corso di sparizione.
Alla fine, è rimasto solo quello che era solido già prima. Molto poco. Ma molto importante: è da qui che si ripartirà, io penso. Conscia di questo sgretolamento, e del vuoto che sembra ora, mi sveglio nell’ora nuova e ci metto un attimo a capire come interpretare le lancette. Una domenica da riempire. Mi metto al lavoro, scrivo il diario di ieri, le idee sono chiare e la scrittura parte solida, diretta, fino alla fine. E poi montaggio radio, per quattro puntate, le ultime quattro.
Fuori c’è il solito silenzio irreale di sempre, la domenica un po’ di più. Gli alterno la mia voce: stop, taglio, cucio, stop, riascolta, sottofondo, volume, salva e chiudi. Va così per un paio di ore, poi è già pranzo, è già metà giornata. Che facciamo, si va? E così via verso la campagna. Il silenzio e le macchie di colore dei fiori che celebrano la stagione senza sguardi pressanti addosso. Non ho obiettivi: mi siedo al sole, sul gradino di ardesia, davanti ho un ulivo curvo come la mappa di questa terra, gli iris viola che stanno per cadere sotto il loro stesso peso, pratoline e soffioni. Calo gli occhiali da sole: Rocco Schiavone, a noi.
Nella stasi assoluta di questo momento storico e di questo ritaglio di domenica, 29 marzo, trascorro tre ore sola con il vicequestore di Aosta. Lo volevo leggere da almeno un mese, ha viaggiato con me, è stato sul comodino in paziente attesa: attesa che avessi una fetta di ore libere, perché quando è Schiavone non lo voglio leggere a spizzichi, ha bisogno del suo spazio; attesa che avessi la testa, la calma, che fosse quella giusta concentrazione. Che ci fosse, forse, solo un po’ di silenzio.
Amo Rocco Schiavone perché è struggente, ogni volta è un incontro che va gustato, che vivo dagli occhi allo stomaco alla bocca. Rido, sono in ansia, rifletto, immagino. Rocco Schiavone è una creatura geniale, l’emblema di un’umanità profonda fatta di contrasti e di irrisolti, di malinconie abissali, di amori e delusioni. Oggi ho tutto il tempo per lui, tutta la mia concentrazione. Siamo io, lucertola al sole, le pagine leggere e color seppia del libro Sellerio. Vorrei aggiungere che siamo io, il libro, tutta questa meraviglia e il silenzio. Invece qualcuno ha pensato di scaldare l’atmosfera dell’intera collina mettendo a palla una playlist estiva di cui fisso Dj Francesco: alza in alto la mano, sono il tuo capitano.
Inevitabile guardarmi intorno nel sole che piano piano lascia spazio al grigio, e proiettare tutto all’estate. Questo piazzale, questi tavoli, questi ulivi: i visi amici, la pelle ambrata dopo le ore in spiaggia, le risate, le grigliate, la luce fino a tardi. Quando è stato e quando sarà tutto questo? Oggi è il primo giorno dell’ora legale e siamo forse tutti un po’ straniti, ma di solito era una promessa di tempo nuovo, di viaggi, di cose da fare, di vita all’aria aperta.
Guardo questo luogo rigoglioso nell’apparente silenzio del tempo di quarantena e mi perdo nella dolcezza dei ricordi: in fondo è casa mia, io qui ci sto bene. I pensieri accarezzano futuri che dimorano in sogni remoti, Torino sparisce, sparisce la mia vita di prima. Che poi prima era solo una settimana fa. Tutto quello che forse non andava, tutto quello che mordeva e mi tenevo il morso, tutto quello che in questo silenzio ho letto, pensato, meditato. Io, il tavolo che guarda sugli ulivi, i miei libri, i miei quaderni: due tesi di laurea e una di dottorato, tutte qui. Un motivo ci sarà. Il silenzio della campagna? Forse, anche. Piuttosto il silenzio del mondo là fuori, quello che ruggisce, quello che aggredisce, quello che demolisce la bellezza a colpi di ascia.
In questo posto di gradini di ardesia e ulivi c’è un segreto grande e incantato: è il posto dove trovo me stessa, la vera me stessa, quella che anche se sta altrove non può che pensare a quel posto lì, a quel modo di stare lì. Sì, cito Calvino: ho il promontorio sul mare, ho la natura, un posto sereno e il mondo da ristudiare. A partire da un vicequestore incasinato che mi incolla alla pagina.
Dovrò ricordarmi di tutto questo, quando assaliranno i dubbi e le paure, dovrò far sì che diventi la forza silenziosa che alimenta le mie visioni. E poi devo urgentemente mettermi a scrivere. L’ho accarezzato tra i dialoghi di Antonio Manzini, ne ho sorriso complice: era quella magia lì, era quel silenzio pienissimo, proprio quello lì.
Oggi c’è silenzio, sarà un caso? Ma non ho nemmeno una canzone, solo due teglie di biscotti che hanno profumato tutta la casa.
Leggi tutte le giornate del mio diario di quarantena: 25 giorni a casa.