Quindi eccoci, ci siamo dentro: nella quarantena forzata.
A volte devo ancora capacitarmi che non si tratti di un film, di un libro. A volte, ovvero ogni dieci minuti, più o meno quanto riesce a stare compatta la mia concentrazione prima di ricevere una notifica, un messaggio, una mail. Siamo ai tempi del Coronavirus, ma sono anche – sempre – i tempi della rete permeante, dell’always online.
In ogni caso: eccoci qui, tutti a casa, tutti al sicuro, tutti a riflettere che è un’azione di collettività consapevole, la tutela di sè per la tutela altrui.
Non vediamo gli amici, gli affetti, non facciamo gesti naturali. Oggi mi pesa un po’ di più, oggi si sente.
Fare la spesa è come calarsi in un film di guerra, le commesse con la mascherina, il silenzio, il vuoto, le signore con la sciarpa sulla faccia che ti guardano storto.
Mentre gironzolavo stranita tra le corsie del supermercato, ho deciso di comprare per la prima volta la famosa crema Pan di Stelle: avevo dei pancake da testare. Stare in casa è anche cucinare, rimettere in moto le mani.
Oggi è lunedì, un lunedì che non è come gli altri. Oggi c’è la quarantena collettiva, fa freddo ed è grigio, un po’ piove, un po’ esce un timido sole a ricordarci che è marzo, una manciata di settimane e tornerà primavera. Ma non è come le altre volte, è tutto nuovo, inedito, persino inaudito. Ti affacci alla finestra e c’è il vuoto, calmo e oceanico vuoto.
Vuoto di contenuti da scrivere per il tuo lavoro, che ha il suo risvolto nella ricchezza di storie di persone e città stravolte dall’emergenza. Non finiranno mai, le storie da raccontare. Eppure accade che dopo due settimane di blocco alle attività culturali, il primo contraccolpo lo subisca io, che lavoro a partita iva, che lavoro raccontando per lo più di storie che hanno a che fare con i teatri, il cinema, lo spettacolo dal vivo, la musica, i locali. Tutti chiusi. finisce la linfa: tutto esaurito. Ma esaurito che non è sold out, è un cancello chiuso.
Cambia dunque un po’ tutto, e seriamente, da oggi. La presa di coscienza di un ritmo che dovrà riadattarsi, di un orizzonte che improvvisamente si allarga e rischia di brancolare nello sterminato spazio che si apre, e si apre incerto, chissà.
Pile di libri ovunque, letture che vorrei, letture per progetti, alimenti per idee. Tutto è ancora sommesso, lento, impaurito. Forse è incredulo, forse è per questo che non ingrana come un lunedì pieno di sole e persone e promesse.
Oggi mi è stato chiesto: che libro consiglieresti? Ho percorso con lo sguardo la libreria della mia camera di ragazzina, ci ho ritrovato Queneau, I fiori blu, e ho avuto la folgorante idea che potesse essere lui il libro da consigliare per il momento. Perché è una settimana che apro gli occhi ogni mattina e passo quei tre o quattro secondi incredula a rendermi conto di essermi risvegliata su un pianeta, in un continente, in una città dove sta accadendo l’impensato. Ogni mattina il transito dal sonno alla verità dei fatti incespica quei due secondi in più: non ci credo, non ce la faccio, è faticoso inserirmi nella routine straniata e straniante. Mi sono sentita molto Cidrolin, molto Duca D’Auge. Chi sogna chi? Chi è sognato da chi? Non l’ho ancora capito, ci devo pensare un po’ su.
Avevo pensato a un diario, avevo immaginato una scrittura riflessiva e naturale. L’unica certezza che mi resta alle otto di sera di questa stranissima giornata fatta di lavori che sfumano, spese inquietanti, crema di biscotti e candele profumate su una scrivania ingombra è che sia necessario tenere una traccia dei 25 giorni che saranno. Sono una situazione così inedita, così profondamente ricca di letterarietà, da non poter essere sprecata.
Credo di aver bisogno di un reset, un po’ come si fa quando si impalla il computer: spegni, che poi vedrai, si riavvia e si mettono a posto tutti i file. Ecco, un reset da un lunedì anomalo. Domani, forse, riallineate le idee, che sono sempre tantissime, e forse troppe, questo strano diario dei 25 giorni acquisirà una forma specifica.
Oggi è solo traccia. Oggi è la traccia di un giorno strano e un po’ difficile, di un giorno pesante come un sacco di pietre che però ha le sembianze di un aquilone capace di vedere alto, di andare con lo sguardo un po’ oltre, nel dopo in cui tutto questo sarà passato, saremo sopravvissuti all’onda.
E l’onda, lei, l’onda dell’emergenza, cosa ci restituirà di noi?
Colonna sonora: Via con me