La prima immagine che mi viene in mente quando penso a un groviglio, è la massa di fili che tirai fuori con aria afflitta dalla macchina da cucire quando avevo 12 anni. Il corso di taglio e cucito, capii presto, non faceva per me: quel groviglio di fili colorati, oltre ad aver fatto infuriare la docente, mi appariva come una massa di nodi, di cose attorcigliate che nessuno mai sarebbe riuscito a districare.
Danilo Zagaria, al contrario, si cimenta nell’operazione. Il suo “Il groviglio verde” (Add, 2024) non è altro che un tentativo di districare i fili e mettere un po’ d’ordine, ben consapevoli che il groviglio resterà tale, e che, anzi, è proprio la sua natura di groviglio a renderlo tale, e prezioso per noi. Il groviglio verde altro non sono che le foreste, i boschi, gli alberi, la massa vegetale dotata di radici, tronchi e chiome che abita il pianeta insieme a noi, e della quale sappiamo ancora poco.
Come ben sottolinea l’esergo del libro, tratto da “La botanica parallela” di Leo Lionni, “prima di essere piante, sono parole”, e dunque ecco come Danilo prova a districare il groviglio: con il racconto. Del resto il sottotitolo di questo libro è emblematico: “Abitare le foreste dal Mesozoico alla fantascienza”. Il racconto è spesso quello degli altri – sono tante le citazioni letterarie che aiutano immaginari e riferimenti geografici e storici – ma alle volte il suo, da Torino fino alle foreste di tutto il mondo, passando per una generosa dose di letture, scientifiche e non, che fanno capolino dalla bibliografia commentata in fondo al volume.

Grovigli, matasse, intrecci, relazioni: alberi
È un libro in cui le pagine servono a viaggiare, questo. “Il groviglio verde” non è che una matassa di ramificazioni, nodi, intrecci, insomma di relazioni e legami che gli alberi hanno tra sé e l’ambiente che li ospita, tra specie, l’uomo sempre al centro, e quindi tra geografie. Basti dire che la lettura si apre con Emilio Salgari, sulle parole del quale – proprio lui, che per raccontare i suoi mondi mai si mosse da Torino -, si arriva alle Sundarbans, la foresta d’acqua del Bangladesh, una delle più grandi al mondo e, insieme, un ecosistema unico, in perenne mutamento e in pericolo (cito solo “L’isola dei fucili”, ma Amitav Ghosh è in questo senso l’autore di riferimento).
Ci si sposta poi in Siberia, nella foresta che copre ben dieci fusi orari e 800 milioni di ettari (!), e continua idealmente al di là della piattaforma continentale europea, verso il Nord America. Una foresta che viaggia, con eco shakespeariano per le menti più galoppanti. Scopriamo così l’intreccio che definisce la linea boreale degli alberi, detta treeline, che divide taiga e tundra, ovvero due biomi, creando così un ecosistema di confine. Affascinante, vero? Si scoprono un sacco di cose geograficamente interessanti in queste pagine di viaggi e osservazioni. E c’è indubbiamente anche tanta storia, come quella che riecheggia nella foresta europea di Białowieża (tra Bielorussia e Polonia), un paradiso vergine che tuttavia è anche teatro di guerra.
Gli alberi, insomma, sono tante cose. I loro grovigli hanno a che fare con l’ecologia e con l’evoluzione stessa del pianeta, ma sono essi stessi dei fenomenali esempi di biodiversità, laboratori chimici che trasformano elementi dandoci ossigeno. Danilo parte da questa esplorazione per il suo itinerario che ben definisce “ricognizione cultural-ecologica”: perché tutto si intreccia nel groviglio, e non è possibile tenere distaccati l’impatto ecologico degli alberi e il nostro immaginario che già con Dante cercava di dare un senso alle foreste.
Servizi ecosistemici e dove trovarli
Va da sé che le geografie si accompagnino a tante storie: la narrazione è un modo efficace per mostrare la complessità, e gli alberi la vivono al massimo grado, questa complessità. Non solo per il loro intreccio verde, ma perché spesso hanno a che fare con vite simbiontiche che si servono dei loro tronchi, della vastità delle foreste, dei rami e delle chiome. Gli intrecci della foresta sono forse la parte più vicina alla botanica di questo “groviglio” dedicato agli alberi e alla loro relazione con il resto del pianeta: troviamo informazioni sul sottosuolo, sui funghi, sul clima, sul ciclo delle acque e del carbonio, sulla biodiversità. All’inizio di ogni capitolo, inoltre, si trovano riferimenti a dati e report.
Questione di equilibri che, guarda caso, l’uomo spesso altera o distrugge. Non è un fenomeno tutto odierno, questo libro ci insegna a guardare anche al passato, a quanto le foreste siano da sempre state influenzate dalla presenza umana, e viceversa. È forse l’uomo responsabile della rottura dei legami che tengono insieme il groviglio? In parte sì: l’uomo aggredisce da sempre le foreste, entra nel groviglio verde modificandolo e, con effetto boomerang davvero miope, mettendosi in pericolo da solo.
Un’aggressione secolare che, illustrata con questa ampiezza di sguardo, ci svela la nostra pochezza umana. Dopo gli oceani, infatti (lo diciamo spesso con Bordighera Blu Park e i progetti ambientali che seguo legati alla biologia marina), le foreste sono gli ecosistemi che, sul pianeta, hanno la più alta biodiversità, e nei loro laboratori chimici trasformano il carbonio, con una significativa ricaduta sui devastanti problemi di climate change che stiamo vivendo. Dovremmo volere più bene agli alberi, capirli e studiarli. Questo libro è un primo passo.
Nel groviglio tutto si tiene
Che fare quindi? La crisi delle foreste, come le foreste stesse, è un altro groviglio. Mai immagine fu più felice per cercare, come dicevo prima, di tirare fuori nodi e fili di una rete inestricabile. I fattori aggrovigliati in questa problematica sono tantissimi, toccarne uno significa a volte alternarne un altro. L’autore ben lo illustra parlandoci di problematiche assai in voga (ahinoi) come lo spillover, ma anche di temi meno noti come quello degli incendi programmati, ovvero del fuoco prescritto di cui io, per esempio, nulla sapevo.
Potremmo agire in qualche modo per arginare la devastazione delle foreste senza alternarne ulteriormente il profilo? Non è semplice. Quando mangiamo, per partire da una banalità, influiamo sulla deforestazione. Quando ci curiamo con i farmaci, a volte anche. E piantare alberi, ha senso? Potrebbe, ma ci sono anche lati negativi. Insomma, nel groviglio dell’interazione perpetua tra natura e uomo, dobbiamo fare sempre molta attenzione. È un’attenzione che parte dallo sguardo.
Su questo spunto Danilo ci ricorda non a caso che alla perdita di foreste in nord Italia è legata l’esistenza di Venezia, e che quindi il paesaggio culturale che viviamo è figlio di azioni che da tempo hanno iniziato a intaccare la foresta (il riferimento che fa l’autore lo riporto perché è un libro bellissimo e straconsigliato: “Arboreto selvatico” di Mario Rigoni Stern). Lo sguardo e la prospettiva che dobbiamo avere sul tema restituiscono la complessità del groviglio, a indicare che quando parliamo di foreste parliamo di un sistema dove, come diceva il linguista De Saussure su tutt’altro argomento, tutto si tiene, tutto influisce. È il nostro pianeta, e funziona così. L’invito del finale mi piace molto perché insiste sullo sguardo, e invita a cambiare prospettiva. È un’azione culturale, prima che ecologica, e da un testo che racconta gli alberi soprattutto attraverso altri testi (inclusi quelli di fantascienza, come prometteva il sottotitolo) era esattamente ciò che mi aspettavo: smettiamo di credere che esista un unico modo di vedere le cose, è una pratica che va coltivata nella quotidianità di ciascuno. Forse, così, riuscirà a porsi come tema ai tavoli dei grandi del mondo. Perché nel groviglio verde, e nel groviglio dei suoi problemi, non esistono mai soluzioni singole e facili.