La prima volta in cui ho sentito parlare di Il sorpasso, articolo inedito di Italo Calvino, ero alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ed era l’ottobre del 2023, il mese del compleanno di Calvino, quello del centenario. A parlarne fu il direttore della Biblioteca, Stefano Campagnolo, in occasione della mostra Lo sguardo dell’archeologo, Calvino mai visto. La storia era quella di un’appassionata e appassionante ricerca sul mercato antiquario che aveva fruttato una sorpresa, cioè le pagine dattilografate di un inedito.
Oltre a conservare, dopo gli accordi con Giovanna Calvino, i libri di Italo e il fondo familiare che era nella casa di Roma della famiglia, la Biblioteca di Roma si occupa infatti di ampliare il fondo dedicato a Calvino, ricercando testi e documenti tra bibliofili, o meglio dire antiquari. Già questa storia era bastata ad affascinarmi: possibile che esistessero ancora inediti di Calvino? Che esistano, che siano da qualche parte? In occasione del centenario ne sono stati tirati fuori diversi: sulla Resistenza, sul rapporto con la moglie, e poi ci sono le chicche di Domenico Scarpa.
Non si tratta solo di smania collezionistica: a volte gli inediti ci raccontano parti di storie, sono tasselli di mappe molto più vaste. E quella di Calvino, si sa, è gigantesca, a volte sembra labirintica. Fatto sta che a un anno di distanza, Il sorpasso è uscito in volume per Mondadori con la curatela di Campagnolo e un’introduzione che ho trovato lucidissima di Sabino Cassese. È un testo relativamente breve (in realtà era un articolo persino troppo lungo, come il committente fece notare a Calvino), per ampliare il discorso del quale nel volumetto Mondadori sono stati aggiunti altri testi che lo contestualizzano e lo dinamizzano. Un vero e proprio saggio di ricerca letteraria che attiva tutti quei meccanismi silenti di cui dicevo sopra a proposito degli inediti. Scopriamolo quindi insieme che cos’è Il sorpasso.

Il quadro politico di uno scrittore
Nel 1976, in occasione delle elezioni che si svolgeranno a giugno in Italia, la New York Review of Books, nella persona di Robert B. Silvers, commissiona a Calvino un articolo di commento sul tema. Sono passati anni da quando Calvino si è ritirato dall’impegno politico diretto: c’era stata la Resistenza, c’era stato l’attivissimo dopoguerra, e poi c’erano stati i fatti di Ungheria del 1956, in conseguenza dei quali lo scrittore si era tirato fuori dal PCI, di cui faceva parte. Nel 1976 sono 9 anni da quando Calvino, ormai consacrato scrittore internazionale, vive a Parigi con la famiglia: ci starà fino al 1980 ma, come testimonia il suo lavoro, e come del resto ammette anche la richiesta di questo commento scritto, non aveva mai perso il legame con l’Italia, anzi.
In anni in cui Calvino non si occupa più di politica, non ne scrive apertamente, Il sorpasso è un testo significativo proprio perché è quasi un unicum, ed è di sicuro “il più esteso intervento sull’attualità italiana che […] abbia mai prodotto”. L’eccezione è costituita da un articolo uscito sempre nel giugno 1976 sul Corriere, che si intitola “Del mantenere la calma” e che, oltre che nei Saggi usciti per i Meridiani Mondadori, è contenuto anche in questo volume.
Quel giugno del 1976 doveva essere carico di aspettative: il sorpasso rappresenta infatti la previsione secondo cui alle urne il PCI avrebbe sorpassato la DC. In pieno “stile Calvino”, l’articolo si apre con un linguaggio automobilistico che declina il tema del sorpasso, ed è godibilissimo. Dopo questo ingresso, lo scrittore accompagna in un viaggio – non un’analisi – nel sistema politico e nei partiti italiani dell’epoca per sviscerare le ipotesi alla base di un sorpasso che, pur adombrandosi, non avviene. In valigia ci sono tutti i paradossi del sistema italiano che la storia di quegli anni, e quella successiva, ci avrebbero snocciolato, con tutte le loro conseguenze sulla società, sulla politica, sul ruolo di sindacati, industria, sul terrorismo (doveva ancora essere ucciso Aldo Moro). Alla me lettrice, che quegli anni non li ha vissuti ma solo studiati, e che ancora oggi li guarda col distacco della pagina di cronaca, le parole di Calvino hanno fatto un effetto modernissimo. Siamo nel 1976 e lui, sulle pagine di una rivista americana, non ha remore a parlare delle contraddizioni tutte italiane, e della corruzione esplicita del sistema arroccato della DC. Scrive, palesemente: “come può un partito sommerso dagli scandali continuare a prendere tanti voti?” e mi sembra una frase ancora così vera, così manifesta. Calvino si domanda come abbiano potuto i terremotati rivotare chi li aveva ingannati con false promesse, denuncia l’arroganza di un potere che si perpetuava già da decenni, sottolinea più volte la corruzione, senza scrupoli, il degrado morale di una certa politica, e arriva a parlare della strategia della tensione con tutte le sue – torno a dirlo – contraddizioni.
Strumenti di critica letteraria
Difficile comunicare una situazione così annodata a chi legga dall’America. La prefazione di Cassese aiuta il lettore di oggi a contestualizzare l’uscita di Il sorpasso e il carteggio che in questo volume vi si accompagna: cosa succedeva in quegli anni tra i partiti e nella società? A quale altezza siamo, rispetto alla storia recente che è conseguenza di quegli anni, e che non può prescindere da quanto accadde? La prefazione è uno spaccato che dà conto di dove eravamo, dei pesi e degli equilibri di allora, ma il pezzo di Calvino, per un lettore italiano di media competenza, avrebbe già fatto molta parte del lavoro da solo. Certo, per un punto di vista diverso, sarebbe stato difficile entrare nelle questioni.
Era un problema già chiaro all’epoca. Ed ecco perché è bello studiare tutto il carteggio legato a Il sorpasso, che nel libro è presentato nella sua seconda versione: la terza non vedrà mai la luce a eccezione di poche pagine. In mezzo, tra questa versione e quella inesistente, c’è un palleggio di lettere tra l’editor della New York Review of Books e Calvino. Sono lettere in inglese che nel libro sono riportate in originale con traduzione a fianco. Siamo a fine luglio 1976, a Calvino la lettera di Silvers arriva in ritardo mentre è a Castiglione della Pescaia (Pineta di Roccamare, come si leggerà nell’intestazione): l’editor gli chiede di rimetterci mano, ma Calvino argomenterà poi la sua rinuncia. Lo scambio di lettere dà conto di un’attenta analisi – 12 cartelle, tanto è lunga la lettera di Silvers – che è un ritratto meraviglioso di una puntigliosità editoriale cristallina. C’è la fermezza, ma anche la cortesia: nessuno rinuncia a sottolineare carenze o mancanze, proprio perché argomentate. Un esempio di stile meraviglioso.
Soprattutto, questo scambio è un gioco di punti di vista utile al lettore di oggi per capire meglio quel quadro politico post elezioni del 1976. C’è il punto di vista immerso – anche se da Parigi – di Calvino, quello degli americani che non riescono a entrare nel sistema italiano degli anni Settanta e nelle sue complessità paradossali (“what all this amounts to it is impossibile for an outsider to say” dirà l’editor, per chi osserva dall’esterno è impossibile dire cosa significhi tutto questo), e poi c’è il punto di vista di noi, oggi, che capiamo entrambe le campane in virtù della distanza temporale che si è creata. Uno straniamento che aiuta a rendere ancora più evidente la stortura del sistema italiano, che era già tutta lì, nel 1976, come la ferma idea di Calvino di democrazia, e la necessità di porla davanti a tutto, di difenderla. In relazione a tutti i cambiamenti politici, sociali, partitici che percepiamo da allora a oggi, mi sono seriamente chiesta cosa avrebbe detto Calvino del cambio di scenario dopo il 1994. Peccato che ci abbia lasciato così presto: ne avremmo lette di bellissime.
Pagine dattiloscritte fitte di correzioni
La chicca alla fine del volume è la copia di alcune cartelle del prezioso acquisto della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, quindi gli originali dattiloscritti dell’articolo che, come la gran parte del patrimonio conservato di Calvino, è fitta fitta di rimaneggiamenti e correzioni con quell’inchiostro che qui è in bianco e nero ma immagino azzurro, come me lo aveva descritto Ernesto Ferrero e come l’ho visto con i miei occhi in alcune lettere all’archivio Einaudi di Torino. “Cancellature, riscritture, aggiunte, sostituzioni”: chissà come deve essere stato il lavoro del traduttore – William Weaver – che quell’estate trasformò velocemente il testo originale in inglese per consegnarlo a Silvers.
Il carteggio e le correzioni testimoniano però un lavoro scrupoloso sul testo e, per l’ennesima volta se ancora ci fosse bisogno di ribadirlo, l’attenzione di Calvino al lettore e alla confezione editoriale dei suoi scritti. L’articolo, pur chiaro magari a un lettore italiano, è però destinato a un pubblico diverso: come prenderanno gli americani queste osservazioni? Cosa potrebbero capire degli equilibri politici italiani? Alla richiesta di approfondimento dell’editor, Calvino risponde come avrei risposto anche io, ancora oggi, e cioè che ci sarebbe stato bisogno di discorsi politici molto più analitici e profondi che avrebbero portato fuori dalla pista delle proprie competenze quello che era – e così si definiva – uno scrittore di fiction.
“The real question I was wondering was and still is: am I the right person to write the article you need?” ammette Calvino nella risposta. Da buon professionista dell’editoria con esperienza profondissima, ringrazia Silvers di aver sollevato tutte le domande che porteranno poi, di fatto, al fallimento della pubblicazione di questo articolo oggi stampato in volume. È questo l’unico modo per redigere una rivista, ammetterà consapevole Calvino: scendere in profondità nel testo interrogandosi sulla destinazione che quelle parole avranno, tirare in causa gli strumenti, il punto di vista, avere come scopo quello di dire qualcosa di esatto per arricchire l’informazione. Meravigliosa, infatti, suona la dichiarazione di intenti di Calvino: “I like only exact information and not chattering columnism”.