Patirò dalla fine: perché alla fine di Scrivere, correggere, riscrivere. Il dattiloscritto di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Ada D’Agostino, da poco uscito per Carocci, c’è Dall’opaco. L’autore sottinteso è, naturalmente, Italo Calvino. Dall’opaco, riassumendo per i nuovi lettori di queste lande del web, è il testo per me più affascinante di Calvino: una “prosa descrittiva” che riassume, in sintesi, lo sguardo dell’autore di sé, il proprio mestiere e il proprio mondo. Si trova nella raccolta La strada di San Giovanni, e nell’ultimo paragrafo dell’ultima pagina di Scrivere, correggere, riscrivere. Arrivare alla conclusione del libro è stato, per me, come inseguire una caccia al tesoro conscia dei tanti indizi che avevo trovato, e capitolo dopo capitolo mettere insieme i pezzi di un quadro completo. E alla fine, con un sorriso beato rivolto alla pagine, dire: oh, sì, la mia tesi arrivava proprio qui!
Ada D’Agostino, autrice del libro, dottore di ricerca in Scienze documentarie, linguistiche e letterarie alla Sapienza di Roma, in co-tutela con Paris Nanterre, sceglie un tema di ricerca bellissimo e fa sua una metodologia che associa a rigore filologico una sorta di trama da libro giallo, alla ricerca, anche lei, dei tanti indizi in grado di dirci qualcosa di più su Italo Calvino e sul progetto che lo portò a dare alle stampe nel 1979 Se una notte d’inverno un viaggiatore (da qui in avanti Il Viaggiatore). Avevo la quasi certezza di trovare dentro questo libro tanti temi che mi avrebbero appassionata, a partire dalle contraintes, che danno il titolo a questo mio approdo virtuale, e che sono alla base del romanzo di Calvino.

Il Laboratorio Calvino
Sapevo ci avrei trovato Parigi, perché è lì che Calvino si trova quando progetta e scrive Il Viaggiatore. Sapevo che ci sarebbe stato l’Oulipo. Intuivo anche che avrei letto di temi semiotici, delle istanze del lettore e dell’autore, perché di fatto Il Viaggiatore è dedicato a questo. Speravo infine che tutto costruisse un discorso dedicato ai temi calviniani cardine sui quali mi sono interrogata, cioè il suo rovello rivolto alla possibilità della letteratura di conoscere e descrivere il mondo, e dunque la domanda delle domande sulla funzione della letteratura.
In Scrivere, correggere, riscrivere ho trovato tutto questo e ben altro di più: ho innaffiato le pagine di notazioni e riferimenti, mi si è scatenata la voglia di indagare molti degli spunti bibliografici che ho trovato, mentre al contempo altri li conoscevo, e sono stata felicissima di trovare citato il trou noir già approfondito da Daniela Panosetti, autrice di un testo che per me e la mia tesi di dottorato su Calvino è stato decisivo, cioè Semiotica del testo letterario. Prima di addentrarmi di più nell’opera, qualche riferimento paratestuale però, perché in questa pubblicazione di Carocci mi sembra importante.
Scrivere, correggere, riscrivere è il terzo volume della collana di Carocci per il Laboratorio Calvino, una struttura di ricerca che coordina le attività di Sapienza Università di Roma, Università di Milano, Università di Milano Bicocca e Università di Oxford. Il laboratorio nasce per promuovere lo studio e la conoscenza dell’opera di Italo Calvino in Italia e nel mondo, in chiave internazionale e interdisciplinare: è stato pensato nel 2018 da Laura Di Nicola insieme a Esther Calvino (Chichita) poco prima della sua scomparsa, oggi ha preso il suo posto Giovanna Calvino. Tra le finalità del Laboratorio (che ha un sito) ci sono anche la tutela e valorizzazione del Fondo Calvino conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. La collana di Carocci è un’emanazione del Laboratorio, è diretta dal gotha della ricerca calviniana, cioè Mario Barenghi, Laura Di Nicola, Bruno Falcetto, Martin McLaughlin e queste sono le pubblicazioni che per ora ha promosso. Inutile dire che le vorrei tutte.
La ricerca sul dattiloscritto del Viaggiatore
D’Agostino prende spunto per la sua ricerca da una serie di documenti preziosi che sono conservati all’Archivio Einaudi di Torino. Tra le carte di Calvino c’è infatti anche il dattiloscritto del Viaggiatore, insieme alle bozze di stampa. È proprio su questo materiale che l’autrice si concentra, per mostrare come quella del Viaggiatore sia stata una lavorazione molto complessa, frutto di ripensamenti, aggiustamenti, riflessioni intertestuali che Calvino ha maturato nel tempo. Nel corso di queste pagine inseguiremo questo filo di ricerca passando attraverso tanti progetti calviniani e altrettante opere, tutte tese verso un grande nucleo che rappresenta molto bene le domande, gli interessi e i temi cari a Calvino.
Alla Biblioteca Nazionale di Roma, nella Sala Calvino che riproduce lo studio romano dello scrittore, ho visto un tavolo di cristallo con sopra una macchina da scrivere, una Olivetti Lettera 32 giallina. Me la sono rivista nitida pensando al dattiloscritto del viaggiatore, sul quale D’Agostino riesce a rintracciare, in un lavoro investigativo davvero affascinante, i diversi segni tipografici che indicano la scrittura via via su diverse macchine da scrivere. Il Viaggiatore non arriva solo, quindi, da una stratificazione di riflessioni e letture, di incontri e problematiche afferrate da Calvino, ma è realmente l’elaborazione molteplice che lo ha accompagnato da Parigi a Torino e forse a Roma e a Castiglione (tante case, tante macchine da scrivere, giustamente).
Viaggiamo quindi, in questa ricerca, tra indizi, tracce fatte di inchiostro (non mancano le indicazioni lasciate a penna da Calvino stesso, e i segni del redattore editoriale Einaudi) livelli di scrittura e pagine o passaggi che scopriremo essere stati scartati. Per ripensamenti, certo, ma anche per una sorta di aggiustamento di tiro che coincide sia con riflessioni di Calvino stesso sia con il processo della scrittura, teso verso un progetto intrecciato di contraintes e regole. Insomma: questi materiali analizzati da D’Agostino ci indicano quanto il Viaggiatore sia stato scritto e riscritto, pensato, elaborato, quanto sia il frutto di un congegno che corrisponde al meraviglioso – io penso – pensiero calviniano.
Quadrati e contraintes
Quando il Viaggiatore viene scritto Calvino è nel cuore dei suoi anni parigini ed è dunque pienamente a contatto con l’Oulipo. Non serve essere esperti per capire che il meccanismo testuale del Viaggiatore, in modo assai più evidente di altri libri pur costruiti sulle sue amate strutture geometriche, è un frutto super accessoriato della poetica del gruppo guidato da Queneau. Vincoli, strutture, sfide e potenziali: a tutto questo rispondono le scelte che Calvino fa in sede di progettazione e anche scrivendo il libro. D’Agostino mostra infatti, confrontando testo e manoscritto, che alcune contraintes sono state aggiunte proprio scrivendo.
Sono contraintes – vincoli, cioè, formali e di contenuto per questo romanzo – che attraversano l’opera e la fanno. Il Viaggiatore è intessuto di schemi e contraintes che tengono insieme i capitoli, il loro contenuto, persino i personaggi, e per questo l’Oulipo lo accettò da subito come un libro composto proprio nell’ottica creativa del gruppo. Dell’Oulipo Calvino condivideva lo spirito, ma anche l’interesse per molte teorie letterarie che, infatti, ingloba e affronta in molti scritti, analizzando ognuno dei quali intravediamo spunti che porteranno poi alle tematiche del Viaggiatore.
Ma c’è di più. Calvino scrisse una sorta di bugiardino delle contraintes che aveva usato per costruire il suo romanzo: Comment j’ai écrit un de mes livres. Oggi lo si può leggere nel numero 51 degli Actes Sémiotiques del 1954, con un avvertimento dello stesso Algirdas Greimas, semiologo, che ci spiega che i quadrati semiotici usati da Calvino non sono propriamente architetture connaturate all’analisi semiotica, e quello dello scrittore è dunque una sorta di gioco, tuttavia molto ben inserito nel clima strutturalista. Al di là del fatto che in questo resoconto di contraintes di Calvino sembra esserci un ulteriore gioco, perché Calvino non svela tutto, è evidente che Il Viaggiatore nasce e si sviluppa anche attraverso varie scritture e riscritture, come un macchinario assai complesso, innervato da regole di gioco create dallo scrittore per sè e per il lettore.
Cibernetica, pagine e scrittura
Da un lato Calvino aveva ben presenti questi meccanismi, già in opera nel Castello dei destini incrociati, dall’altro lato D’Agostino ci porta a indagare sul peso e la centralità di una riflessione che l’autore continuerà a rinnovare per tanti anni sulla cibernetica. Davanti, infatti, a potenziali di calcolo e incastro come quelli che costruzioni geometriche simili al Viaggiatore sembrano suggerire (l’esempio più lampante sono i Cent mille milliards de poèmes: le prove visive sono in fondo a questo articolo), Calvino guardava alle macchine – i futuri computer – con un interesse che scopriamo essere ambiguo: sostituto dell’uomo, al posto della tanto vituperata soggettività ineliminabile, oppure solo macchinari per agevolare nel calcolo tra le mille opzioni? Istanza di morte, o strumento per la creatività?
È un tema enorme a cui potremmo dedicare libri interi, basti osservare, qui, che leggere queste pagine è uno spunto freschissimo e vivace per ancorarci all’oggi e farci aiutare da Calvino nel descrivere pregi e difetti dell’intelligenza artificiale generativa. Il tema, insomma, non è affatto nuovo, e se ci guardiamo alle spalle troviamo parole, dubbi e discorsi molto più profondi e argomentati di tante opinioni che rimbalzano sugli schermi odierni. I riferimenti bibliografici per iniziare a orientarsi tra queste considerazioni sono alla celebre conferenza Cibernetica e fantasmi (oggi in Una pietra sopra), su cui poi si è costruita altrettanta bibliografia sia oulipiana sia di critica letteraria “classica”.
Una cosa che mi piace citare qui è L’incendio della casa abominevole, di cui già parlavo a proposito di un numero di Playboy con insolite tracce calviniane visto in mostra, e che è, di fatto, il romanzo oulipiano incompiuto di Calvino. Ancora contraintes, ma è qui che entra in gioco la famosa idea di cibernetica come funzionalità che, aiutando il cervello umano a contare ed elaborare, potrebbe fornire nuovi spunti allo scrittore. Della Casa abominevole Calvino aveva già presentato progetti e proposte all’Oulipo, e mi fa sorridere che fosse una sorta di racconto “giallo”, con un mistero da risolvere.
Misteri da risolvere e rovelli: la poetica del mondo scritto
L’idea della ricerca e del mistero da inseguire, come dicevo sopra, pervade un po’ anche Scrivere, correggere, riscrivere: è la ricerca degli spunti, delle correzioni, dei rovelli risolti o no. Ma è anche l’inseguimento delle tante suggestioni: oltre all’Oulipo e alla cibernetica, un altro gustoso approfondimento che fa strada al Viaggiatore è quello dedicato alla rivista Alì-Babà, progetto che Calvino seguì dal 1968 al 1972 e che non vide mai la luce, ma dove già comparivano tematiche legate al romanzo come l’autore, l’enciclopedia (concetto anche semiotico), le immagini…
È, insomma, una scrittura difficile, un aggettivo che nelle mie indagini su Calvino ritorna spesso. Difficili erano gli amori, ma difficile è sempre in qualche modo anche il rapporto tra Calvino – il futuro signor Palomar – e la realtà, e dunque è difficile la relazione con la scrittura, un legame che merita di essere costantemente interrogato, revisionato, messo allo scoperto. Non è un caso se Calvino insisterà moltissimo, in tutta la propria poetica, sulla metascrittura e sulla metaletteratura, di cui Il Viaggiatore è forse l’esempio più esplicito, raccontandoci direttamente sulla pagina del processo di scrittura e anche di quello di lettura. Ad animare il Viaggiatore è proprio la tensione costante che si interroga su questa istanza: un desiderio di lettore, che è anche una sfida per lo scrittore.
Abbiamo dunque fatto centro: ecco perché ho aperto con Dall’opaco, ecco perché D’Agostino chiude arrivando al “luogo geometrico dell’io”, dove tutto si incastra in una rete di linee topologiche che rispecchiano uno sguardo e la sua immagine del mondo. Al centro della scrittura di Calvino c’è anche il rapporto con il soggetto, con il self, e mi ha colpito molto il fatto che D’Agostino parli di scrittura silicea, alludendo forse volutamente o forse no a quel guscio di conchiglia intorno al quale Domenico Scarpa ha costruito la propria indagine su Calvino. Il luogo geometrico dell’io, questa perifrasi così misteriosa e affascinante che mi ha stregata fin dalla prima lettura, è il luogo dove tutto questo lavorio di scrittura e riscrittura incontra calamaio e penna, tastiera e bit, costantemente impegnati nella riflessione – anzi nel rovello labirintico irto di contraintes – che ha guidato tutta la linea poetica di Calvino, e cioè la traducibilità del mondo non scritto in quello scritto, la possibilità della scrittura di portare la realtà sulla carta.