Quanto è stato lungo, questo marzo? Un mese attraverso due stagioni, 31 giorni di vita densissima quasi ininterrotti, puntare dritto verso Pasqua, 1 aprile, come se lasciarsi indietro il mese di marzo fosse indispensabile per mettere alle spalle la pesantezza invernale, e rivedere il sole.
Marzo è iniziato in inverno, con la neve sul mare, io che correvo dalla stazione imbiancata alla spiaggia altrettanto candida, in uno scenario così irreale che a ripensarci oggi, a solo un mese di distanza, sembra impossibile sia avvenuto realmente, eppure quanto ci siamo sentiti tutti più leggeri, di nuovo bambini, di nuovo incantati come se dovesse presto arrivare il Natale, un abbraccio caldo. Sembrava che il freddo e l’inverno non volessero andare più via e iniziava a suonare come surreale l’abbinamento di aria gelida e neve sui tetti al chiarore delle giornate che si inoltrava già oltre le sei. A fine marzo è arrivata l’ora legale, e un soffio di primavera che ha fatto sbocciare i fiori e scaturire i primi aromi dolci della stagione calda. Dopo la neve che non ti aspetti, e le sciarpe, e i cappellini utilizzati fino a metà mese, abbiamo tirato un sospiro di sollievo: il sole è arrivato, quanto ci era mancato.
Marzo 2018 è stato il mese delle elezioni, della coda al seggio che non si era mai vista, delle maratone elettorali di Mentana da seguire per reale passione politica e perché sul web, tra meme e gruppi dedicati, c’è sempre un sacco da divertirsi, e paradossalmente cresce la comunità, e la consapevolezza di un fenomeno dentro al quale ci si trova immersi, realtà liquida ma dentro la cui pancia si possono – e devono – trovare appigli. Marzo si conclude con un presidente della Camera, uno del Senato, ma ancora nessun governo, e chissà quale sarà il mese in cui potremo dire che sì, è stato fatto un nuovo governo per questo paese che ai primi del mese sotto elezioni pareva bloccato dalla neve – ferrovie in tilt, autostrade chiude -, e che appena fa capolino il sole si tuffa sulle spiagge e a far grigliate di Pasquetta nei parchi. Ma è bello, naturalmente e assolutamente bello, proprio per questo.
Sono stati 31 giorni vissuti a testa china in multitasking e assoluta necessità di organizzare: giorni di agenda, planning, excell, pagine di quaderno, razionalizzazione e respiri fondi. Giorni di ingranaggi lavorativi che si assestavano, novità da assorbire, ansie da scorporare in responsabilità da affrontare con lucidità, fermezza e precisione. Per tutto questo, o forse solo per la primavera e l’età che avanza, il 31 marzo, guardando indietro, tutti questi mi sono sembrati giorni di vita intensa messa alle spalle come speroni di roccia scavalcati per raggiungere l’altopiano in alto. Che non è la cima, e non vuole nemmeno esserlo: sono ancora in viaggio. Ma è una prima tappa, da cui spalmarsi (magari al sole) e guardare la strada messa alle spalle ritrovando le tracce, e il senso, e accorgendosi di essere cresciuti – lavorativamente e non solo -, di essere “sul pezzo” e di saperci anche un po’ stare, correggendo la rotta e risolvendo le uscite fuori strada.
La responsabilità del mio lavoro, incluse le novità che marzo ha portato, l’ho sentita ancora di più da marzo, nei primi giorni del quale se ne è andato Mimmo Càndito, straordinario uomo, reporter di guerra per La Stampa, nonché mio professore di linguaggio giornalistico all’università. La notizia mi ha fatto male: era malato da tempo, ma lottava, e accanto a lui, uomo di statura alta e che aveva negli occhi l’orrore delle guerre del mondo, manteneva sempre, ma davvero sempre una gentilezza sincera e consolante con cui chiedeva dei suoi ex studenti, si interessava, sperava per il loro futuro nelle redazioni dei giornali. La sua scomparsa ha lasciato, in me e in tutti, un vuoto molto grande: sento ancora la sua voce, vedo il suo viso, le tante situazioni, oltre che in aula, all’esame, al laboratorio di scrittura giornalistica, in cui ci siamo casualmente incontrati e mi ha donato la sua gentilezza. Lo ricordo da un mese, ho stampato e incorniciato una foto dove lo intervisto a Perugia, e vorrei che il mio professore restasse lì come esempio, voce-guida nel mio mestiere, monito sempre vivo delle responsabilità, ma anche dell’importanza e della bellezza di poter fare la giornalista.
Nonostante questa brutta notizia, marzo si è rivelato un mese in cui trovare poco spazio per la malinconia invernale: e sì, la neve, e sì, la pioggia ogni weekend, ma le giornate più luminose hanno avuto effetti sorprendenti sulla predisposizione a fare, senza rifugiarsi troppo nei libri, dietro le finestre di casa. Ci sono stati viaggi di lavoro, a Genova, da abbinare per esempio a una visita all’Acquario per vedere da vicino il cucciolo di lamantino nato nel 2018. È un animale straordinario, ho sostato 40 minuti davanti alla vasca dove sono ospitati lui, fratello e genitori e mi sono persa a osservare le loro contorsioni buffe, con quel corpo enorme, che ricorda le forme di una sirena, e le loro divertentissime pose con le zampe-pinne per avvicinarsi alla bocca interi cespi di lattuga, già che era l’ora di pranzo. Ci sono stati, poi, anche quotidiani viaggi verso Torino, in uno dei quali, un lunedì mattina, ho avuto la fortuna insolita di incrociare Giuseppe Conte, con il quale prendere un caffè a Savona, discorrere di media e giornali, ascoltare da lui una frase come «al funerale di Calvino Eco arrivò con un plico di giornali di carta», trovarci entrambi a leggere durante il viaggio e salutarci a Porta Nuova.
Tanti anche i luoghi di cultura e le novità torinesi, con una mostra intensa e importante al Museo Egizio, un’incursione al Museo di Antichità in cui perdersi insieme a diversi colleghi, tante visite in Comune, dove ho l’impressione che ormai i vigili urbani in portineria mi conoscano, e diverse tappe alle Ogr, dove forse dopo mesi e nonostante la labirintica disposizione degli enormi spazi, sto imparando a orientarmi. Alle Ogr si è svolto anche un bellissimo incontro pre-Salone del libro con David Szalay e Paolo Giordano, per cui ringrazio Adelphi di avermi invitata. Il libro in questione era Tutto quello che è un uomo, un testo davvero interessante e a suo modo magnetico, una scrittura e una profondità di scavo nell’animo umano che mi ha colpita tantissimo, e di cui vi parlerò presto.
Ci sono stati anche altri libri che mi hanno tenuto compagnia, per esempio una strana storia legata a un mistero linguistico Il segreto di Pietramala di Andrea Moro, e anche la storia della fuga in montagna di Martino e Leonardo in La manutenzione dei sensi. Tante anche le altre letture, per esempio Dove sei stata, il nuovo romanzo di Giusi Marchetta, letteralmente divorato in 24 ore e subito tra i miei romanzi preferiti di sempre. Ho avuto il grandissimo piacere di ritrovare Giusi davanti a un dolce caffè e non tanto di intervistarla, quanto di chiacchierare con lei sul libro, e in generale sulla scrittura e la lettura. Un’occasione bellissima, in cui tra un Ascolta il mio cuore di Bianca Pitzorno e una scaletta della storia e dei personaggi, sono riuscita a togliere la polvere sulla mensola delle cose importanti che, vive fin dall’infanzia, fanno sì che io ora mi trovi qui.
È stato lo stesso pensiero che ha accompagnato la mia lezione su Italo Calvino e i luoghi della Riviera di Ponente tenuta il 26 marzo all’Università di Genova, sezione di Imperia, grazie a un entusiasta invito di Simona Morando, docente del corso di Letteratura italiana e letteratura dei luoghi a Scienze del turismo. Confesso di essermi divertita tanto a riprendere le fila del discorso che lega Calvino alla costruzione degli spazi, discorso che era il fulcro della mia tesi di dottorato. Ho ritrovato ragionamenti, ma a mente fresca ne ho individuati di nuovi, e le mie quasi due ore di chiacchiere in un’aula soleggiata e affacciata dall’alto sul mare di Imperia sono state piacevoli, condite da studenti che amabilmente si facevano gli affari loro come è giusto che sia e da altri che, guardandomi con attenzione, scrivevano negli appunti cose che dicevo, rendendomi insieme agitata e meravigliata.
Intanto, con un piede qui e uno lì, nel senso di un convinto e ancora non stanco “Due is megl che uàn”, anche a marzo ho rinforzato i legami che mi legano alle mie due città. La Milano-Sanremo mi ha ricordato quanto sia bella la primavera che arriva in Liguria, quando ci si ritrova ai bordi dell’Aurelia aspettando un plotone di eroici pedalatori che arrivano stremati sui nostri promontori costieri dopo aver affrontato centinaia di chilometri. Ma mi ha anche ricordato il primo compleanno della Libreria Ragazzi due punto zero, portandomi a riflettere su quanto, in un anno, le cose possano cambiare, per noi e per chi ci sta intorno. Ed è bello constatare che in mezzo alle bufere i legami restano, come è bello ritrovarsi in leggerezza davanti a strani aperitivi da provare brindando alla ziitudine, o a mangiare una pizza mentre sulla tovaglietta del locale prendono forma storie e disegni se chi ti sta affianco sono uno sceneggiatore e un fumettista che hai la straordinaria fortuna di conoscere, proprio grazie alle connessioni attivate in libreria. Se poi è la libreria del tuo migliore amico, con il quale nel frattempo stai lavorando per creare cose belle, la sensazione è ancora più frizzante.
Se il Progetto Nonostante prosegue, nonostante (!) il poco tempo e i mille impegni quotidiani, ho notato che due storie sono bastate finora a innescare nuove connessioni, relazioni e chiacchiere, e questo già mi rallegra. Ma la cosa insolita è che la terza “puntata”, che ho già raccolto in marzo e uscirà ad aprile, mi ha confermato una cosa altrettanto curiosa, e ciò che, sempre nel solco della strana vita divisa tra due città e due mondi, mi sono ritrovata anche dentro una comunità tutta torinese. È la comunità di “quelli che leggono e scrivono”, di chi si era intercettato per pura casualità alle lezioni di storia dell’editoria di Walter Barberis, e di chi si incontra alle presentazioni dei libri e, oggi, si riconosce e si saluta. Sono quelli che, conosciuti tra Facebook e “cose” letterarie in città, magari si incontrano per la strada e fanno un pezzo insieme constatando di avere indole e orizzonti simili. Quelli che in borsa hanno le tue stesse letture, e nel quaderno i tuoi stessi progetti costruiti tra carta, penna e volontà.
Quelli – forse – che sostenuti proprio da uno di questi progetti, accarezzato per mesi e per altrettanto tempo cesellato, a fine marzo inviano una mail per scherzo, incitati dagli amici di sempre che vedono lontano e che sanno, e che dopo poche ore si vedono recapitare nella posta una mail di risposta che… No, il mese è finito, questa è un’altra storia che si svolgerà prossimamente, non sui vostri schermi ma piuttosto sulle mie pagine. Quelle vere, ma anche quelle dei libri. Insomma: quelle di carta.
Intanto, già che non è un primo aprile casuale da cui guardarsi alle spalle per raccontare marzo, buona Pasqua a tutti, e l’augurio di respirare la primavera e potersi, e sapersi, guardare indietro, dentro e davanti con quel pizzico di sicurezza e serenità in più che mi ha abbracciato ieri per strada all’improvviso dopo un intenso e profondo dialogo con un bimbo di due mesi e i suoi occhi azzurri spalancati sul mondo e pieni di fiducia.