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Quindi è venerdì. Una settimana che è volata, non so bene come, il tempo ha perso consistenza, frena frena frena. Eccoci: è venerdì. Fa un freddo invernale, piove, tutto è grigio, statico, un po’ vuoto. Oggi mi sento così: le ore si accavallano e concludo poco. Ho freddo, i pensieri tornano sui guai che sento e vedo intorno. Dovrei finire cose, anzi vorrei, perché questa tensione del “to do” mi disarma e mi stacca dall’ambizione vastissima che sto coltivando e che scalpita oggi più che mai: studiare. Studiare come soluzione lenta, come desiderio che finalmente, dopo anni, si ritrova. Studiare come voracità di saggistica che scalza il passo alla narrativa già da un pezzo. Forse ce n’era bisogno, forse era quello che volevo da tanto. Meno computer, più pagine. E magari tornare a imparare cose, ci provo già da oggi, in modo fallimentare con Indesign e le sue versioni non…

Questo articolo è stato scritto tra il 7 e l’8 marzo 2020, prima dunque del lockdown totale dovuto all’emergenza Coronavirus, prima delle cifre stravolgenti e allucinanti di morti e contagi: se vi stupirete di alcuni riferimenti ancora “leggeri”, per quanto il clima fosse ormai quello che viviamo oggi, 25 marzo, il motivo è questo. Come tante altre cose che penso e scrivo, questo articolo ha provato a farsi trovare da interlocutori più nobili e noti di questa pagina, senza successo. Ve lo presento dunque qui con un po’ di ritardo sull’ideazione, sicura che le riflessioni e i riferimenti che contiene siano ancora attuali e apprezzabili. «Mi hanno chiamato amici dall’Australia, mi hanno chiesto cosa succedeva in Italia, mi hanno offerto rifugio sicuro da loro: sono un’isola!». Questo ascoltavo una settimana fa nello spogliatoio della palestra, prima che tutto accadesse, prima di adesso. Un’isola: una porzione di terra separata dal resto…